Briciole di pane

5. Genesi ed escalation del terrorismo rosso
Dalla fine degli anni Sessanta, nel calderone della sinistra extraparlamentare, si moltiplicano i gruppuscoli che inneggiano alla rivoluzione contro il riformismo e all’uso della violenza per l’affermazione del comunismo (anche in contrapposizione al Partito comunista, considerato un “traditore”). Si richiamano al mito della “Resistenza tradita” e alle esperienze di guerriglia urbana e ai gruppi “fochisti” in America Latina (per esempio, i Tupamaros in Uruguay e le dottrine del brasiliano Carlos Marighella). In questi ambienti esercita un’influenza importante anche la paura del golpe, come quello dei colonnelli in Grecia nel 1967, e la pratica del cosiddetto antifascismo militante (che prevede schedature del nemico e scontro fisico con i neofascisti).

È in questo contesto che, a partire dal 1969, alcuni soggetti maturano la scelta di quella che i protagonisti chiamano “lotta armata”: il Gruppo "22 ottobre", i GAP di Giangiacomo Feltrinelli e soprattutto le Brigate rosse. In questo contesto, la Strage di piazza Fontana agisce come un “catalizzatore” di processi già in atto e contribuisce a radicalizzare le posizioni, ma il terrorismo di sinistra non è stato una “risposta” allo stragismo, come hanno suggerito molti militanti, per giustificare le proprie azioni.

Le BR, la più importante e longeva organizzazione del terrorismo di sinistra, nascono nel 1970, e saranno attive fino agli anni Ottanta. Dopo una prima stagione di “propaganda armata”, fatta di piccoli attentati e rapimenti-lampo, nel 1974, dopo la Strage di Brescia, compiono i primi omicidi (non pianificati, ma rivendicati), uccidendo i militanti del Movimento sociale italiano Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. Nel 1976 compiono i primi omicidi pianificati (uccidendo il giudice Francesco Coco e la sua scorta a Genova), punto di partenza dell’escalation di ferimenti e uccisioni con cui intendono portare l’“attacco al cuore dello Stato”, che culmina con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro.

Dalla metà degli anni Settanta, in una spirale di competizione ed emulazione, si moltiplicano le sigle del terrorismo di sinistra, tra cui spiccano la breve e sanguinosa parabola dei NAP e soprattutto Prima linea. Dalla nuova ondata di protesta del Settantasette, in particolare dall’area dell’Autonomia operaia organizzata (l’ala più radicale della sinistra extraparlamentare), fuoriescono molti giovani che passano alla clandestinità e alla “lotta armata”, che alla fine del decennio tocca il suo picco di intensità nella stagione del cosiddetto terrorismo diffuso. In quegli anni il terrorismo rosso sceglie i propri obiettivi soprattutto tra le figure più progressiste e riformiste nei rispettivi ambiti (per esempio, Aldo Moro e Vittorio Bachelet nella DC, Guido Galli ed Emilio Alessandrini in magistratura), nell’ottica di accelerare il crollo dello Stato, secondo la logica del “tanto peggio, tanto meglio”.

Esiste un filone polemico che vede il terrorismo rosso come un prodotto della protesta giovanile del Sessantotto. Non è così, il nesso è più complicato. Gli studiosi hanno ricostruito come il terrorismo non sia un prodotto delle proteste giovanili, quanto piuttosto della loro crisi. Quando il ciclo di proteste si riassorbe, le frange più estremiste e abituate all’uso della violenza di alcuni gruppi (all’interno dei quali, all’inizio degli anni Settanta, si discute apertamente l’opzione della “lotta armata”) passano in clandestinità. In particolare, ampi spezzoni dei servizi d’ordine di Lotta continua e di Potere operaio, vanno a ingrossare le fila rispettivamente di Prima linea e delle Brigate rosse.

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